SINDROMI DOLOROSE MUSCOLOSCHELETRICHE
INTRODUZIONE
Secondo la dichiarazione dell’European Federation of IASP Chapters (EFIC), il dolore rappresenta un problema sanitario rilevante in Europa. Studi epidemiologici di comunità indicano che il 25-30% della popolazione adulta è affetto da dolore cronico e che nei 2/3 dei casi esso è secondario ad affezioni muscoloscheletriche. Tale prevalenza aumenta progressivamente nel soggetto anziano, raggiungendo tassi superiori al 40-50% nei soggetti con età superiore ai 65 anni.
Il dolore può essere la conseguenza di lesioni del sistema muscoloscheletrico ma, spesso, si manifesta in assenza di alterazioni strutturali rilevabili a carico delle sedi interessate; in altri casi le sue caratteristiche, in termini di intensità e modalità di presentazione, non sono compatibili con eventuali patologie rilevabili all’esame clinico e con le indagini strumentali. La conoscenza delle basi fisiopatologiche dell’amplificazione e della cronicizzazione del dolore, dei neurocircuiti preposti alla ricezione, alla trasmissione ed alla processazione degli stimoli provenienti dalla periferia e dei sistemi complessi della interazione tra una neuromatrice alterata e la psiche del soggetto, sono considerati elementi fondamentali in chiave patogenetica.
Il dolore nelle malattie muscoloscheletriche assume un ruolo primario, non solo come indice di attività e di severità della malattia, ma anche nel contesto di una valutazione prognostica a lungo termine, condizionando le richieste assistenziali del paziente (numero di visite, rischio di ospedalizzazione, richiesta di farmaci), la compliance ed il grado di aderenza nei confronti del trattamento. Molteplici fattori influenzano la percezione e l’espressione esteriore dell’esperienza algica da parte del paziente e ciò rende particolarmente complessa la misurazione di tale fenomeno e l’interpretazione dei risultati. È ben noto come l’esperienza del dolore cronico muscoloscheletrico determini significativi riflessi sulla sfera cognitiva, affettiva e soprattutto su quella comportamentale (comportamento espressivo e motorio, turbe del sonno, interazioni sociali e familiari, dipendenza eccessiva dalla famiglia e dai “caregivers ”, farmacodipendenza, disturbi affettivi, irritabilità, livelli di attività e conseguenze socio-economiche e lavorative), comportando una profonda mutazione della qualità della vita del paziente.Tale stile “maladattivo” nell’affrontare la propria condizione morbosa viene denominato “comportamento anomalo di malattia” ed è inteso come una modalità di malapprendimento nel percepire, valutare ed agire in rapporto al proprio stato di salute.
Una attenta valutazione del dolore cronico e delle sue caratteristiche ed una scelta ragionata e consapevole degli strumenti più idonei, non solo aiuta il paziente ad esprimere il proprio dolore al momento dell’incontro, ma, può influenzare, più in generale, il modo in cui lo descrive. Esso, infatti, aumenta la conoscenza individuale del dolore e migliora la capacità di comunicare. Inoltre, la sua utilità, oltre che biometrica o statistica, é quella di far intuire al paziente, quasi sempre sfiduciato e scettico, che intendiamo parlare del suo dolore nei termini e nella misura da lui identificati; il che costituisce un immediato, istintivo e costruttivo ponte di fiducia. Da ciò ne deriva la possibilità di approntare, indipendentemente dagli schemi farmacologici, una serie di programmi di supporto, di conoscenza e di capacità specifiche (rilassamento, strategie cognitive nell’affrontare i problemi ecc.) che se globalmente proposti possono conseguire apprezzabili risultati.
Gli autori sono animati dalla speranza che il loro sforzo possa offrire un contributo dottrinario efficace, di impulso alla riflessione per gli studenti, per i reumatologi e per ogni ricercatore interessato al miglioramento della salute dell’uomo.
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APPROFONDIMENTI
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