UTILITÀ CLINICA E POTENZIALITÀ DELL’ECOGRAFIA NELL’OSTEOARTROSI

AUTORI:

1Marco Di Carlo,2Tadashi Okano,2Kenji Mamoto,1Fausto Salaffi

1Clinica Reumatologica, Università Politecnica delle Marche, Ospedale ”C. Urbani”’, Jesi (Ancona), Italia

2Dipartimento di Chirurgia Ortopedica, Osaka City University Graduate School of Medicine, Osaka, Giappone

Introduzione

L’osteoartrosi (OA) è la patologia più comune delle articolazioni umane. L’OA genera dolore muscoloscheletrico cronico e disabilità motoria, specialmente nelle persone anziane. L’OA di ginocchio o di anca ha una prevalenza del 40% nelle persone di età superiore ai 65 anni nei paesi occidentali, ed il sintomo dolore è la principale caratteristica dell’OA che determina disabilità (ad esempio, difficoltà a camminare e salire le scale) (Dawson J, et al. Rheumatology (Oxford) 2004). Poter individuare le espressioni precoci di OA può permettere di curare la malattia tempestivamente.

Negli ultimi anni le tecniche di imaging hanno auto un importante sviluppo nell’ambito della patologia artrosica (Roemer FW, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2014). La radiografia convenzionale rimane la tecnica più diffusamente utilizzata per la diagnosi di OA. Attraverso una semplice radiografia è possibile determinare la due parametri fondamentali come la riduzione della rima articolare e le dimensioni degli osteofiti. Su questi due rilievi si basa il punteggio di Kellgren-Lawrence, un indice composito che permette di valutare la gravità dell’OA (Kellgren JH, et al. Ann Rheum Dis  1957).

Valutare la riduzione della rima articolare rappresenta il “gold standard” nella pratica quotidiana nello stabilire la severità dell’OA, raccomandato inoltre come miglior metodo disponibile per indagare la progressione del danno articolare (Reichmann WM, et al. Osteoarthritis Cartilage 2011). Tuttavia, la radiografia convenzionale non è sensibile alle alterazioni degenerative cartilaginee precoci, che si verificano già prima del rilievo radiografico di riduzione della rima articolare e della presenza di osteofiti, alterazioni strutturali che appaiono solo negli stadi relativamente tardivi dell’OA (Wang Y, et al. Ther Adv Musculoskelet Dis 2012; Guermazi A, et al. Rheum Dis Clin North Am 2013). Attualmente esistono sistemi di scoring diversi dal Kellgren-Lawrence, come quello dell’Osteoarthritis Research Society International, in cui è fatta un’analisi compartimentale dei rilievi patologici (Altman RD, et al. Osteoarthritis Cartilage 2007). La riduzione della rima articolare continua ad essere ampiamente applicata come indicatore indiretto di assottigliamento della cartilagine tibio-femorale. Tuttavia, la riduzione della rima articolare radiografica riflette l’assottigliamento della cartilagine e l’estrusione meniscale, non mostrando i danni morfologici cartilaginei e meniscali (Amin S, et al. Arthritis Rheum 2005; Hunter DJ, et al. Arthritis Rheum 2006).

Un’altra tecnica di imaging che ha acquisito molta importanza nell’ambito dell’OA è la risonanza magnetica per immagini (RM). La RM viene utilizzata sempre più spesso per visualizzare direttamente la cartilagine e le strutture intra-articolari. La RM è il gold standard per la valutazione dell’articolazione di ginocchio ed è considerata la tecnica di imaging più accurata per la valutazione dell’OA del ginocchio (Roemer FW, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2014; Stammberger T, et al. Magn Reson Med 1999). I vantaggi della RM includono la non invasività, la possibilità di ricostruzioni multiplanari e l’eccellente risoluzione di contrasto tra tessuti di diversa densità. Nonostante l’elevata sensibilità, la RM non è solitamente utilizzata come tecnica di imaging di primo livello in quanto tecnica costosa e di non facile disponibilità per l’elevato numero di pazienti affetti da OA (Pradsgaard D, et al. J Rheumatol 2015).

L’ecografia articolare è stata meno studiata, tuttavia permette di ottenere immagini multiplanari ad alta risoluzione dei tessuti che la stanno rendendo una metodica di grande interesse sia per scopi di ricerca che nella pratica clinica quotidiana. I cambiamenti morfologici della superficie ossea, dei menischi e della cartilagine femorale possono essere rappresentati in modo affidabile e valutati in modo semi-quantitativo e/o come caratteristiche singole all’esame ecografico (Koski JM, et al. Scand J Rheumatol 2016; Kawaguchi K, et al. Arthritis Rheum 2012; Bruyn GA, et al. Ann Rheum Dis 2016). L’ecografia inoltre presenta il grande vantaggio di poter indentificare le lesioni infiammatorie. E’ una metodica economica, sicura, non comporta radiazioni ionizzanti e, nel complesso, non ci sono controindicazioni al suo utilizzo (Grassi W, et al. Semin Arthritis Rheum 1999; D Agostino MA, et al. Rheumatology (Oxford) 2015). Pertanto, le evidenze a sostegno della validità dell’ecografia articolare rispetto a modalità di imaging tradizionali sono in aumento(Koski JM, et al. Scand J Rheumatol 2016; Riecke BF, et al. Osteoarthritis Cartilage 2014; Naredo E, et al. Osteoarthritis Cartilage 2005). Tali evidenze supportano l’ipotesi di poter utilizzare l’ecografia come modalità di imaging di prima linea per la rilevazione dei cambiamenti morfologici in corso di OA. In questa rassegna descriviamo lo “stato dell’arte” dell’ecografia articolare nell’ambito della patologia artrosica.

I rilievi patologici documentabili con l’ecografia in corso di OA

SINOVITE

Benché l’OA sia ampiamente considerata come un disturbo degenerativo della cartilagine articolare, una quota di infiammazione sinoviale spesso presente. Una valutazione accurata, anche con metodiche strumentali, dell’infiammazione sinoviale è importante anche per poter inquadrarla correttamente e distinguere l’OA da un reumatismo infiammatorio cronico. Anche se la radiografia convenzionale può mostrare lesioni che influenzano il profilo osseo, individuare l’infiammazione sinoviale tramite una radiografia è difficile. Contrariamente, l’ecografia articolare e la RM sono state riconosciute come preziosi strumenti per valutare l’impegno infiammatorio dei tessuti sinoviale (Østergaard M, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2008; Wakefield RJ, et al. Clin Exp Rheumatol 2003). L’Outcome Measures in Rheumatology (OMERACT) Working Group in ecografia, tra i segni di infiammazione dei tessuti molli ha definito “ipertrofia sinoviale” il tessuto intra-articolare anormale ipoecogeno (relativamente al grasso sottocutaneo) che non è spostabile e scarsamente comprimibile, e che può presentare un segnale Doppler (Wakefield RJ, et al. J Rheumatol 2005). Il segnale Doppler, in particolare il power Doppler (PD), può permettere di visualizzare il grado di infiammazione sinoviale valutando l’iperemia (Fig. 1b). Nell’artrite reumatoide ad esempio il segnale PD elevato è associato ad una sinovite “attiva”, che si caratterizza per la neoangiogenesi e per l’infiltrazione di cellule infiammatorie come i macrofagi e le cellule T-helper-17 (Gullick NJ, et al. PLoS One 2010). La presenza del segnale PD ecografico correla maggiormente con i rilievi istopatologici rispetto al quadro RM, ma le caratteristiche distinte di entrambe le modalità di valutazione imaging delle malattie croniche articolari sono important (Takase K, et al. Clin Exp Rheumatol 2012).


Figura 1: a) Ipertrofia sinoviale (freccia) a livello nell’articolazione metacarpofalangea. b) Segnale Power Doppler nel tessuto sinoviale (testa di freccia) indicativo di sinovite.

 

LIQUIDO SINOVIALE

Il gruppo di lavoro OMERACT ha definito il “liquido sinoviale” come materiale intra-articolare anecogeno o ipoecogeno (sempre relativamente al grasso sottocutaneo) che è spostabile e comprimibile, ma che non mostra un segnale Doppler (Wakefield RJ, et al. J Rheumatol 2005) (Fig. 2a). L’aspetto del liquido sinoviale come materiale intra-articolare anecogeno o ipoecogeno, con caratteristiche disomogenee, può dipendere dalla presenza nel contesto del liquido stesso di detriti intra-articolari o di materiale proteico o calcificato (Fig. 2b). La quantità intra-articolare di liquido sinoviale tende correla con l’attività infiammatoria nell’articolazione stessa. L’ecografia può anche essere usata molto efficacemente come guida per l’esecuzione di artrocentesi. L’aspirazione del liquido sinoviale è molto importante in alcuni casi per poter risolvere i le insidie diagnostico-differenziali.


Figura 2: a) Liquido sinoviale identificabile come raccolta anecogena anormale (asterisco) all’interno dell’articolazione di ginocchio. b) Deposizioni calcifiche multiple osservabili nel liquido sinoviale del ginocchio di un paziente affetto da malattia da deposito di cristalli di pirofosfato di calcio.

 

CARTILAGINE

La valutazione ecografica della cartilagine ha alcuni limiti per quanto riguarda la finestra acustica (Mathiessen A, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2016). Nell’articolazione di ginocchio, mentre una buona parte della cartilagine femorale è visibile, la maggior parte della superficie cartilaginea tibiale e rotulea non sono visibili. In questo contesto è molto importante anche la tecnica di esecuzione dell’esame ecografico, come mantenere l’angolo della sonda perpendicolare alle superficie oggetto di studio. La cartilagine ialina normale viene visualizzata ecograficamente come uno strato omogeneo anecogeno che riveste la corticale ossea, con un margine superficiale e profondo che appare sottile, tagliente, continuo e regolarmente iperecogeno (Fig. 3a). Per alterazioni patologiche della cartilagine si intendono delle immagini ecografiche che rilevino la perdita di nitidezza e/o irregolarità del margine superficiale/profondo, la perdita della normale struttura anecogena, nonché l’assottigliamento focale e asimmetrico fino alla completa perdita dello strato cartilagineo (Iagnocco A, et al. Clin Exp Rheumatol 2017) (Fig. 3b).


Figura 3: a)Cartilagine ialina normale visualizzata come uno strato omogeneamente anecogeno (Aplio i800 con sonda a 24 MHz “trasduttore ad altissima frequenza”, Canon Medical Systems). b)Cartilagine ialina danneggiata.

 

OSTEOFITI

Un osteofita è definito come un’aumentata prominenza ossea all’estremità del normale profilo osseo o ai margini dell’articolazione, visibile in due piani perpendicolari, con o senza ombra acustica (Iagnocco A, et al. Clin Exp Rheumatol 2017) (Fig. 4). Le dimensioni degli osteofiti sono correlate alla gravità del danno articolare e alla durata dell’OA. L’ecografia articolare si è dimostrata una tecnica sensibile per la rilevazione degli osteofiti, anche di minime dimensioni, comparata alla radiografia convenzionale (Iagnocco A, et al. Clin Exp Rheumatol 2017; Okano T, et al. Rheumatology (Oxford) 2016). In un lavoro del nostro gruppo di ricerca, l’ecografia ha permesso di rivelare la presenza di osteofiti a livello del condilo femorale mediale in una significativa percentuale di pazienti dove la radiografia era sostanzialmente nella norma (Okano T, et al. Rheumatology (Oxford) 2016). La multiplanarità dell’ecografia ha una maggiore sensibilità rispetto alla radiografia, essendo quest’ultima in grado di rilevare chiaramente solo gli osteofiti situati perpendicolarmente al fascio di raggi X. Di conseguenza l’ecografia acquisisce anche piccoli osteofiti nascosti in radiologia convenzionale.


Figura 4: Osteofiti a livello del condilo femorale mediale (f) e della tibia (t) nell’articolazione del ginocchio.

 

EROSIONI

Un’erosione è definita come una discontinuità della superficie ossea intra-articolare visibile ecograficamente in due piani perpendicolari (Iagnocco A, et al. Clin Exp Rheumatol 2017) (Fig. 5). La presenza di una OA erosiva è tipica di determinati distretti, come la mano. In caso di OA erosiva, oltre al danno cartilagineo ed ai fenomeni osteoproduttivi, sono documentabili alterazioni del profilo osseo. L’OA erosiva oltre ad esibire le caratteristiche sopra menzionate, mostra anche segni flogistici (a volte chiamata “OA infiammatoria”), come l’ipertrofia sinoviale, la presenza di essudato intra-articolare ed eventualmente di segnale PD. Per l’OA erosiva delle mani è stato dimostrato che il PD (ma non l’ipertrofia sinoviale) è associato ad una progressione erosiva documentabile in radiografia convenzionale (Mancarella L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2015).


Figura 5: Erosione (asterisco) visibile come discontinuità della corticale ossea visibile su due piani perpendicolari, la scansione dorsale longitudinale (a) e la scansione dorsale trasversale (b).

 

 

Osteoartrosi del ginocchio

L’ECOGRAFIA NELL’OA DEL GINOCCHIO

Sebbene l’OA possa interessare molteplici articolazioni, l’OA del ginocchio sicuramente è la più comune e coinvolge molteplici strutture articolari, tra cui menischi, legamenti, osso subcondrale, capsula sinoviale ma anche la muscolatura periarticolare (Poole AR HSS J 2012). La prevalenza dell’OA di ginocchio nelle popolazioni anziane è in aumento ed impatta in maniera negativa sulla qualità di vita e sulla capacità lavorativa, determinando forti ripercussioni sui sistemi sanitari e nell’economia nel suo complesso (Cross M, et al. Ann Rheum Dis 2014; Wick MC, et al. Gerontology 2014).

La degenerazione della cartilagine articolare e meniscale, la formazione di osteofiti, l’erosione ossea, l’infiammazione sinoviale ed il versamento articolare sono i principali rilievi semeiologici dell’OA del ginocchio. L’ecografia ad alta risoluzione può essere utilizzata per valutare le strutture più superficiali del ginocchio, come il tessuto sinoviale, cartilagine, menischi, gli osteofiti, e la presenza di un eventuale versamento articolare.

 

LA SINOVITE IN CORSO DI OA DI GINOCCHIO

La proliferazione del tessuto sinoviale, responsabile dei rilievi flogistici, in caso di OA di ginocchio è solitamente di basso grado, e può essere visualizzata con o senza liquido sinoviale e/o segnale PD, anche se alcuni pazienti possono avere una sinovite di grado severo come quella dell’artrite reumatoide. Nei pazienti con artrite reumatoide, la persistenza di segnale PD può precedere l’insorgenza di un danno erosivo. Anche in corso di OA è stato dimostrato che la sinovite, documentabile come la presenza di versamento intra-articolare rilevabile all’ecografia, sia un fattore predittivo della necessità di una successiva artroplastica totale di ginocchio (Conaghan PG, et al. Ann Rheum Dis 2010). Pertanto, la sinovite del ginocchio rilevata all’ecografia può essere un bersaglio di trattamento, e l’ecografia può essere considerata una misura di outcome per gli studi che intendono misurare la flogosi in corso di OA.

 

LA CARTILAGINE IN CORSO DI OA DI GINOCCHIO

Misurare lo “stato di salute” della cartilagine e identificarne precocemente i cambiamenti è molto importante per valutare l’efficacia di possibili trattamenti per ridurre la progressione dell’OA di ginocchio (Eckstein F, et al. Osteoarthritis Cartilage 2006). Sebbene l’esame ecografico della cartilagine di ginocchio possa essere limitato a causa della profondità e della mancanza di una visualizzazione adeguata, alcune scansioni permettono di ottenere informazioni importanti. Ecograficamente, la cartilagine ialina normale viene visualizzata come uno strato ipoecogeno, tipicamente di 1.5-2 mm di spessore (Aisen AM, et al. Radiology 1984). Lo spessore della cartilagine è una misura importante per rilevare l’insorgenza ed eventualmente la progressione dell’OA dal momento che questa patologia si caratterizza, almeno nelle fasi inziale, per una riduzione dello spessore cartilagineo. I pazienti con OA di ginocchio hanno una riduzione dello spessore della cartilagine tibiofemorale rispetto ai controlli sani (Buck RJ, et al. Osteoarthritis Cartilage 2010; Cicuttini FM, et al. Ann Rheum Dis 2001). È stato suggerito che misurare la cartilagine al centro del condilo femorale mediale possa rappresentare un utile parametro per valutare i cambiamenti morfologici precoci nell’OA di ginocchi (Frobell RB, et al. Osteoarthritis Cartilage 2009). Pertanto, strumenti accurati ed efficaci per misurare lo spessore della cartilagine femorale mediale potrebbero essere clinicamente molto utili per monitorare la malattia. L’ecografia aggiunge ai vantaggi sopra elencati il fatto di essere economica e più disponibile maggiormente sofisticate come la RM (Ostergaard M, et al. Acta Radiol 1995). Il nostro gruppo ha dimostrato che il danno alla cartilagine femorale mediale è fortemente correlato al restringimento radiografico dell’articolazione tibiofemorale mediale, e che l’ecografia è una tecnica di imaging sensibile per rilevare i danni alla cartilagine anche nelle prime fasi radiografiche dell’OA di ginocchio (Okano T, et al. Rheumatology (Oxford) 2016). In un confronto tra ecografia ed RM per la misurazione dello spessore della cartilagine nel condilo femorale mediale, Randy e colleghi hanno documentato che le misurazioni ecografiche trasversali e longitudinali erano correlate positivamente ed in maniera significativa con le misurazioni RM e, di conseguenza, ciò certifica come l’ecografia possa essere utilizzata in maniera affidabile per valutare lo spessore della cartilagine nelle regioni femorali mediali (Schmitz RJ, et al. Knee 2017)

 

I MENISCHI IN CORSO DI OA DI GINOCCHIO

Il menisco mediale e laterale sono visualizzati ecograficamente come strutture triangolari iperecogene situate tra femore e tibia (Fig. 6a). Le porzioni periferiche dei menischi possono essere visualizzate chiaramente, al contrario le porzioni più interne sono scarsamente identificabili. Complessivamente, la visualizzazione del menisco laterale tende ad essere più limitata. La sensibilità e la specificità dell’esame ecografico per la diagnosi di una lesione meniscale sono rispettivamente dell’88% e dell’85% (Akatsu Y, et al. J Bone Joint Surg Am 2015). Altri studi descrivono come l’ecografia possa essere utilizzata per identificare le lesioni meniscali mediali e laterali con un’accuratezza paragonabile a quella della RM (Mureşan S, et al. J Sports Med Phys Fitness 2017). Come già accennato, è spesso difficile differenziare la degenerazione meniscale interna con l’ecografia, per cui il ricorso alla RM è giustificato dal punto di vista diagnostico. L’ecografia è molto utile nella diagnosi strumentale dell’estrusione meniscale mediale (Fig. 6b), lesione artrosica tipica, correlata alla sintomatologia dolorosa e alla riduzione della rima articolare mediale documentabile in radiologia convenzionale (Naredo E, et al. Osteoarthritis Cartilage 2005). Inoltre, l’esame ecografico dinamico dei menischi in posizione unipodale prima e dopo aver camminato per 50 m potrebbe essere un metodo riproducibile per la diagnosticare sublussazioni meniscali (Acebes C, et al. Rheumatology (Oxford) 2013).

 


Figura. 6 a) Posizione normale del menisco mediale. b) Estrusione meniscale mediale con piccolo osteofita a livello femorale in un paziente artrosico. f: condilo femorale mediale, t: t: tibia prossimale, m: menisco mediale.

 

GLI OSTEOFITI IN CORSO DI OA DI GINOCCHIO

Le strutture ossee del ginocchio sono utilizzate principalmente come punti di repere per l’esame ecografico dei tessuti molli sovrastanti. L’ecografia ha tuttavia una sua utilità anche nel fornire informazioni delle alterazioni patologiche che avvengono sulla superficie dell’osso. Un esempio tipico sono gli osteofiti dell’articolazione femorotibiale del ginocchio artrosico (Abraham AM, et al. BMC Musculoskelet Disord 2011). Koski e colleghi hanno dimostrato che una valutazione ecografica semi-quantitativa è più sensibile della radiografia nell’identificazione di osteofiti nel compartimento mediale del ginocchio (Koski JM, et al. Scand J Rheumatol 2016). Anche un nostro lavoro ha dimostrato le correlazioni significative tra i gradi radiografici e quelli ecografici degli osteofiti femorali, sia per l’aspetto articolare mediale e laterale. L’ecografia inoltre è in grado di documentare la presenza di piccoli e precoci osteofiti, non altrimenti rilevabili con la radiologia convenzionale (Okano T, et al. Rheumatology (Oxford) 2016).

 

LA CISTI DI BAKER

La cisti di Baker è la presenza di tumefazione nella regione posteriore del ginocchio, a livello del cavo popliteo, in continuità con l’articolazione, che causa rigidità e dolore (Fig. 7). La cisti di Baker è considerata uno dei segni infiammatori dell’OA di ginocchio. L’esame ecografico del cavo popliteo può rilevare la presenza di una cisti di Baker più frequentemente dell’esame clinico anche in pazienti senza sintomi clinici a tale livello (Akgul O, et al. Int J Rheum Dis 2014). Uno studio prospettico di coorte ha mostrato una progressione radiologica accelerata, valutata in due anni di follow-up, in pazienti affetti da OA di ginocchio con cisti di Baker ecografica al basale (Bevers K, et al. Rheumatology (Oxford) 2015). Vi sono evidenze che l’aspirazione della cisti con infiltrazione ecoguidata di corticosteroidi produca un miglioramento clinico, una riduzione volumetrica della cisti stessa ed anche delle sue dimensioni di parete (Köroğlu M, et al. Eur J Radiol 2012; Acebes JC, et al. J Clin Ultrasound 2006). Pertanto lo studio ecografico del cavo popliteo dovrebbe essere attuto in ogni ginocchio artrosico per individuare una cisti di Baker e per poterla trattare.


Figura. 7 Cisti di Baker nella regione posteriore di ginocchio. a-b) scansione trasversale e c-d) scansione longitudinale.

 

DIAGNOSI DIFFERENZIALE NELL’OA DI GINOCCHIO

Diverse condizioni devono essere identificate e differenziate dall’OA di ginocchio, in particolare le artropatie da cristalli quali la malattia di deposizione del pirofosfato di calcio (CPPD)  e la gotta. In entrambe le malattie l’ecografia può rilevare segni altamente specifici a livello della cartilagine articolare.

Nel ginocchio dei pazienti con gotta, i cristalli di urato monosodico possono apparire come una linea iperecogena sulla superficie della cartilagine ialina, definito come segno del “doppio contorno” (Thiele RG, et al. Rheumatology (Oxford) 2007) (Fig. 8). La presenza di un segno del doppio contorno è suggestivo di gotta con una sensibilità dell’83% ed una specificità del 76% (Ogdie A, et al. Ann Rheum Dis 2015).Il segno del doppio contorno, identificato correttamente con il fascio ultrasonoro perpendicolare alla cartilagine stessa, si differenzia dalla normale interfaccia cartilaginea presentandosi come una deposizione continua ed iperecoica. Il segno del doppio contorno deve essere differenziato dai depositi tipici della CPPD, che appaiono come focolai calcifici iperecogeni presenti all’interno della cartilagine ialina (Thiele RG, et al. Rheumatology (Oxford) 2007; Filippucci E, et al. Osteoarthritis Cartilage 2009). La CPPD è caratterizzata dalla deposizione intra-articolare e/o peri-articolare di cristalli di pirofosfato di calcio (McCarty DJ, Br J Rheumatol 1993). Depositi di cristalli di pirofosfato di calcio, oltre che nel contesto della cartilagine ialina (Fig. 9a),  si trovano molto frequentemente nelle fibrocartilagini meniscali (Louthrenoo W, et al. J Med Assoc Thai 1999). L’ecografia è molto utile anche nell’individuazione dei cristalli di pirofosfato di calcio ed ha un ruolo nella diagnosi di CPPD. Gutierrez e colleghi hanno dimostrato che l’ecografia sembrerebbe essere più utile della radiologia convenzionale nel diagnosticare questa condizione, dal momento che immagini suggestive della presenza di una CPPD a livello della cartilagine ialina sono documentabili nel 59.5% dei pazienti versus il 45.9% della radiografia (p<0.001). L’ecografia è dunque una metodica accurata e affidabile per la diagnosi delle calcificazioni della cartilagine articolare in corso di CPPD (Gutierrez M, et al. Arthritis Care Res Hoboken 2014). Come già accennato, la CPPD può coinvolgere anche i menischi (Fig. 9b), ed a questo livello i depositi appaiono come aree iperecogene interne al menisco stesso (Frediani B, et al. Ann Rheum Dis 2005). Anche a livello meniscale l’ecografia è una metodica più sensibile della radiologia convenzionale (90.5% versus 83.7%) (p=0,011) (Gutierrez M, et al. Arthritis Care Res Hoboken 2014) (Fig. 9c).


Figura. 8 a) Segno del “doppio contorno” (freccia) sulla testa metatarsale del paziente con gotta. B) Sinovite con infiammazione a basso grado.

 


Figura. 9 a) Calcificazione nel menisco mediale in paziente con malattia da deposito di cristalli di pirofosfato di calcio (freccia). b) Calcificazione della cartilagine ialina femorale (testa di freccia). c) Radiografia convenzionale.

 

Osteoartrosi della mano

L’ECOGRAFIA NELL’OA DELLA MANO

L’OA della mano è una malattia ad elevata prevalenza nella popolazione generale, determinante dolore e disabilità (Slatkowsky-Christensen B, et al. Arthritis Rheum 2007). Haugen e collaboratori hanno descritto una prevalenza di OA della mano nel 44% delle donne e nel 38% degli uomini al di sopra dei 40 anni (Haugen IK, et al. Ann Rheum Dis 2011). Tuttavia, la prevalenza dell’OA della mano utilizzando come metodica diagnostica la radiologia convenzionale non è nota a causa della notevole variabilità tra gli studi, che può essere dovuta a differenze tra le popolazioni studiate (ad esempio, background genetico o esposizioni ambientali) ed alla definizione stessa di malattia (Mathiessen A, et al. Ann Rheum Dis 2016). L’OA della mano frequentemente colpisce la prima articolazione carpometacarpale (detta anche artrosi della base del pollice o rizoartrosi) e dalla II alla V interfalangea distale, ma si può trovare anche a livello delle articolazioni interfalangee prossimali e più raramente a carico delle articolazioni metacarpofalangee. L’ecografia ad alta risoluzione può essere utilizzata per valutare le strutture superficiali delle articolazioni delle dita, il tessuto sinoviale, la cartilagine articolare e gli osteofiti.

 

LA CARTILAGINE IN CORSO DI OA DELLA MANO

La valutazione ecografica della cartilagine nelle articolazioni delle dita viene effettuata ai massimi gradi di flessione dell’articolazione oggetto di studio (Fig. 3a). Il gruppo di lavoro OMERACT ha proposto un sistema di punteggio semiquantitativo per interpretare le anomalie della cartilagine della mano artrosica (Hammer HB, et al. Ann Rheum Dis 2016). Questa scala a quattro punti definisce: 0 = cartilagine normale (struttura anecogena, normali margini della cartilagine); 1 = perdita della struttura anecogena e/o assottigliamento focale dello strato cartilagineo o irregolarità e/o perdita di nitidezza di almeno un margine cartilagineo; 2 = perdita della struttura anecogena e/o assottigliamento focale dello strato cartilagineo e irregolarità e/o perdita di nitidezza di almeno un margine cartilagineo; 3 = assenza focale o perdita completa dello strato cartilagineo. Le sonde ecografica ad alta frequenza possono visualizzare chiaramente in dettaglio anche minime alterazioni cartilaginee (ad es. 0.1 mm). Questa possibilità di identificare con tecniche ad alta risoluzione minimi dettagli della cartilagine potrà essere utile anche per studiare farmaci “disease modifying” per l’OA.

 

GLI OSTEOFITI IN CORSO DI OA DELLA MANO

Gli osteofiti sono lesioni tipiche anche per l’OA della mano, ed è stato dimostrato che la loro presenza si accompagna alla sintomatologia dolorose (Kortekaas MC, et al. Ann Rheum Dis 2011). L’ecografia è più sensibile dell’esame clinico e della radiografia nella rilevazione degli osteofiti nelle articolazioni della mano (Keen HI, et al. Ann Rheum Dis 2008) (Fig. 10a). Mathiessen e colleghi hanno descritto un buon accordo tra la diagnosi ecografica e la diagnosi RM degli osteofiti. Anche in questo distretto un grosso vantaggio dell’ecografia è rappresentato dalla possibilità di uno studio multiplanare, permettendo l’identificazione anche di piccoli osteofiti nascosti (Mathiessen A, et al. Ann Rheum Dis 2013).

 

LA SINOVITE IN CORSO DI OA DELLA MANO

L’ecografia articolare è uno strumento utile anche per individuare la sinovite in corso di OA della mano. Contrariamente a quanto si possa credere, la sinovite ha una prevalenza molto elevata nelle articolazioni dolorose della mano artrosica. Nell’ambito delle malattie infiammatorie croniche come l’artrite reumatoide, la sinovite prolungata genera un danno articolare erosivo. Anche per la patologia artrosica, la sinovite ecografica documentabile in scala di grigi (Fig. 10a) ed il segnale PD (Fig. 10b) sono associati in modo significativo alla progressione radiografica dopo 5 anni (Mathiessen A, et al. Ann Rheum Dis 2016). L’ecografia può documentare anche la presenza dell’efficacia di un trattamento. Klauser e colleghi hanno documentato che effettuando infiltrazioni intra-articolari di acido ialuronico in pazienti con OA della mano si può riscontrare una riduzione dello spessore della membrana sinoviale e del segnale PD (Klauser AS, et al. Eur J Radiol 2012).


Figura. 10 a) Proliferazione osteofitaria e segni di ipertrofia sinoviale nella prima articolazione carpometacarpale (rizoartrosi). b) Segnale Power Doppler nel tessuto sinoviale ipertrofico.

 

DIAGNOSI DIFFERENZIALE NELL’OA DELLA MANO

L’artrite psoriasica è una patologia infiammatoria che si sviluppa nel 5-40% dei pazienti con psoriasi (Weger W, Br J Pharmacol 2010). Una delle caratteristiche dell’artrite psoriasica è la presenza di fenomeni osteoproduttivi nelle articolazioni e nelle entesi infiammate. L’artrite psoriasica colpisce frequentemente le articolazioni interfalangee distali e, in questa sede, i processi flogistici articolari dell’artrite psoriasica possono essere confusi con quelli artrosici. Studi in tomografia computerizzata quantitativa periferica ad alta risoluzione hanno dimostrato che le caratteristiche dei fenomeni osteoproduttivi sono diverse in queste due malattie (Finzel S, et al. Arthritis Rheumatol 2014). Se complessivamente il numero e le dimensioni degli osteofiti in corso di OA e della periosteite in corso di artrite psoriasica possano essere molto simili, tuttavia, la localizzazione delle lesioni all’interno delle singole articolazioni è sostanzialmente diversa nelle due condizioni. Gli osteofiti osservati nell’OA della mano sono quasi perpendicolare allo spazio articolare (Fig. 11a), al contrario, i fenomeni osteoproduttivi tipici dell’artrite psoriasica sono solitamente visibili come alterazioni parallele alla fibra del tendine estensore delle dita, alla capsula o al legamento, in quanto espressione di entesite (Fig. 11b).

Figura. 11 a) Osteofita osservabile nell’OA della mano, lesione quasi perpendicolare allo spazio articolare (freccia). b) I fenomeni osteoproduttivi (periosteite) nei pazienti con artrite psoriasica sono di solito paralleli alla fibre del tendine, alle capsule o ai legamenti (testa di freccia).
 

 

Terapia locoregionale ecoguidata in corso di OA

Le iniezioni intra-articolari di corticosteroidi o la viscosupplementazione sono tuttora ampiamente utilizzate nell’ambito della patologia artrosica, soprattutto le terapie conservative di prima linea (riposo, ghiaccio e farmaci antinfiammatori) non sono in grado di fornire un adeguato sollievo dai sintomi.

Le iniezioni intra-articolari di corticosteroidi forniscono benefici a breve termine ed efficacia clinica per il dolore cronico al ginocchio (Zhang W, et al. Osteoarthritis Cartilage 2010).

Nel corso degli ultimi anni diverse formulazioni iniettabili di acido ialuronico sono disponibili ed hanno ottenuto un certo grado di accettazione come strategia di trattamento efficace per l’OA di ginocchio.

Tradizionalmente, le terapie infiltrative intra-articolari sono state effettuate utilizzando punti di repere anatomici per poter effettuare un corretto posizionamento dell’ago. Tuttavia, nonostante la correttezza dei reperi anatomici, una significativa proporzione di infiltrazioni eseguite alla cieca finiscono fuori bersaglio. Ciò è dovuto, in gran parte, al fatto che l’operatore con tecnica “free hand” non è in grado di visualizzare direttamente l’area di interesse e le variazioni anatomiche sono comuni. L’errato posizionamento dell’ago è stato attribuito (almeno in parte) a esiti clinici variabili (McGarry JG, et al. Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc 2011). Un’infiltrazione eseguita non correttamente può avere diversi effetti collaterali, tra i quali il dolore post-iniezione, l’emartrosi, la sepsi articolare, atrofia della cartilagine articolare, nonché effetti sistemici (ad esempio, ritenzione idrica o esacerbazione dell’ipertensione o diabete mellito) (Bellamy N, et al. Cochrane Database Syst Rev 2006). Pertanto, poter identificare correttamente il percorso ed il corretto posizionamento dell’ago è importate per una buona riuscita del trattamento infiltrativo.

Fluoroscopia, tomografia computerizzata e RM possono essere utilizzate per migliorare la precisione dei trattamenti infilitrativi intra-articolari. Tuttavia, l’ecografia è molto più pratica rispetto alle metodiche sopra elencate perché è rapida, sicura, poco costosa, non emette radiazioni ionizzanti, e può essere effettuata in ambiente ambulatoriale (Iagnocco A, et al. Rheumatology (Oxford) 2010). L’ecografia consente di identificare le strutture vascolari e nervose e documentano il movimento dell’ago in tempo reale (Epis O, et al. Clin Exp Rheumatol 2008). David e colleghi hanno dimostrato che la guida ecografica porta ad una migliore accuratezza rispetto alla guida anatomica (95.8% versus 77.8%, p<0.001) nelle infiltrazioni a livello del ginocchio, e che la maggiore accuratezza del trattamento effettuato con la guida ecografica determina migliori risultati clinici (Berkoff DJ, et al. Clin Interv Aging 2012). La precisione del trattamento infiltrativo è ancor più importante nelle piccole articolazioni (Fig 12).


Figura. 12 Infiltrazione ecoguidata in un’articolazione metacarpofalangea.

 

Conclusioni

L’imaging è il pilastro della gestione dei pazienti OA nella pratica clinica quotidiana, e la radiografia convenzionale rimane il gold standard. Tuttavia, rispetto alla radiografia, l’ecografia può identificare più precocemente le alterazioni morfologiche cartilaginee e gli osteofiti anche di piccole dimensioni. L’ecografia fornisce ulteriori informazioni diagnostiche pertinenti sulle alterazioni patologiche dei tessuti molli (ad es. sinovite, lesioni meniscali e cisti di Baker), non rilevabili con la radiografia convenzionale. Di conseguenza, l’uso dell’ecografia come tecnica di imaging complementare alla radiografia (soprattutto se la RM non è giustificata) potrebbe consentire una diagnosi più accurata ed economica dell’OA di ginocchio.

Rispetto alla RM, l’ecografia consente un esame dinamico e l’ecografista può osservare i tessuti visualizzati durante il movimento attivo e passivo. Paragonata alla RM, il principale limite dell’ecografia è rappresentato dall’impossibilità di studiare l’osso subcondrale. L’ecografista deve saper riconoscere i vantaggi e gli svantaggi di ogni tecnica di imaging ed adeguare l’esame adatto alla problematica clinica del singolo paziente.

Punti chiave
  1. Se da un lato radiologia convenzionale e la risonanza magnetica rimangono le tecniche di imaging di riferimento, nel corso degli ultimi anni l’ecografia ha assunto un ruolo sempre più importante nell’ambito della patologia artrosica. I vantaggi generali dell’ecografia sono principalmente rappresentati dalla pronta disponibilità, dal basso costo, dall’assenza di radiazioni ionizzanti, e dalla ripetibilità della metodica.
  2. In corso di osteoartrosi i vantaggi dell’ecografia sono rappresentati dalla possibilità di visualizzare precocemente alterazioni molto iniziali della patologia sia a livello cartilagineo, sia a carico dei tessuti molli (tessuto sinoviale, mensichi, capsula articolare), sia a livello del profilo osseo (osteofiti, erosioni).
  3. I principali svantaggi sono lo studio di zone scarsamente accessibili con gli ultrasuoni, come la porzione laterale del ginocchio, o non completamente accessibili, come l’osso subcondrale.
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